Per un piatto di minestra
Dalla biografia poetica di Antonio Ligabue narrata da Zavattini
Lunedì 26 marzo l’attore Pier Giorgio Gallicani ha recitato, per il pubblico della Dante Alighieri, pagine dalla biografia di Antonio Ligabue, scritta da Cesare Zavattini.
Per me, che ho insegnato per diversi anni nella Bassa Mantovana, è stato un tuffo nostalgico nel passato: acque, pioppi, campanili lungo le strade tortuose degli argini. E piazze bellissime nei piccoli paesi rivieraschi. Ho riassaporato quell’atmosfera sospesa, tipica del Po, velata dalla nebbia autunnale o abbacinata dall’afa estiva. Ho ripensato ai greti argillosi crepati dal sole, a bilance e bartavej (nasse) da pesca, a ponti di legno scricchiolanti al passaggio delle auto. A un mondo fuori dal presente, fuori dal mondo, dove personaggi come Ligabue non sono rari, anche se non hanno il suo genio creativo. I miei ricordi si sono intrecciati alle parole di Zavattini e alle sequenze del film di Andreassi con lo stesso Ligabue, che Gallicani ci ha proposto, e hanno rinverdito umori ed immagini custoditi nella memoria: umido, foschie, fumo, gelate, lanche e golene, sapori di allegre mangiate e bevute (il lambrusco scuro che lascia l’orlo nella scodella) nei ‘casotti’ sulle rive.
Gallicani ha dimostrato una particolare familiarità con il testo, una consuetudine carica di affetto sia per l’autore luzzarese sia per Antonio al mat, una frequentazione sentimentale con questa terra ricca di autenticità, estraniamento e selvatichezza.
Lascio alle parole di Zavattini un ritratto del Po:
“Cara pianura che ha per cuore il fiume dei fiumi mai fermo nella sua corsa verso il mare o per essere più precisi verso l’infinito. Se ne dubitate, fissatene il corso da un punto qualsiasi sulle sue rive e vedrete compiersi il miracolo che state lì immobili non meno dei salici e dei pioppi e intanto liquidamente andate oltre e oltre ancora… È un momento sublime, lo scrivo con la preoccupazione di essere sull’orlo della retorica, ma lo scrivo. E vorrei potervi rivelare altre sublimità locali, per esempio quella del silenzio, che è unico e non la solita assenza di rumori, anzi una sintesi di rumori, suoni, voci antichi e odierni, diventati appunto silenzio nell’assommarsi, alla pari del bianco misteriosamente generato dal vortice di tanti colori. Non sarebbe errato quindi definirlo un silenzio storico, dove si fondono gli echi più diversi, regionali, provinciali, comunali e patrii, dai lamenti della gente travolta dalle alluvioni ancora oggi possibili, al fragore dei motoscafi rossi gialli e blu in gara, agli spari dei partigiani ai canti delle donne tra le bellissime del mondo, alle fisarmoniche del trionfante “liscio”.
Fiume, valle, gente, caro tutto…”
E permettetemi di concludere con tre versi di Serafino Prati:
Alti monti di nebbia volavano/ sulle tranquille/ acque silenziose del pigro Po.
Lori Carpi
ultimo aggiornamento della pagina: 4 aprile 2012