Siamo, qui, davanti alla celebre volta e pareti del Salone dipinto da Lattanzio Gambara, fra il 1572-73, nel Palazzo Lalatta, ora sede del Collegio Maria Luigia, che porta il nome del committente Antonio Lalatta, discendente di una delle famiglie cittadine più influenti e la cui immagine è ritratta e affidata alla parete di fronte all’ingresso della sala, a simboleggiarne il protagonismo culturale.
Volgendo lo sguardo attorno a noi, partendo dalla volta, cercheremo di ritrovare tutti gli elementi simbolici di questa “Allegoria” della Battaglia di Lepanto, su cui le Società Dante Alighieri e degli Amici del Maria Luigia e Voglia di leggere hanno voluto dedicare la loro attenzione e sottoporla ad una nuova riflessione nella ricorrenza.
Ci appare una lunga serie di elementi dipinti, talora difficili da decifrare, tanto sono miscelati nella disposizione spaziale e offuscati dal tempo, ma a ben guardare tutti tratteggianti il conflitto, l’ostilità, lo scontro, l’opposizione, la contrapposizione, il contrasto, l’antagonismo fra civiltà. Il tutto per sottolineare la supremazia delle Virtù della Chiesa Cattolica sui Vizi ottomani. Oggi diremmo far emergere uno scontro fra civiltà affidata ad una “Allegoria” multipla entro una cornice morale di bene/male, secondo gli schemi grandiosi del dinamismo pittorico.
L’Allegoria è una raffigurazione retorica, attraverso cui un concetto astratto si esprime per mezzo di una messa in pagina concreta, utilizzando simboli e immagini che rimandano ad una realtà diversa da quella dipinta, che assume un senso riposto e allusivo, un significato traslato, altro da quello raffigurato.
Del resto la Battaglia di Lepanto si è rivelata cruciale per scongiurare uno dei più imponenti tentativi di islamizzazione dell’Europa da parte dell’Impero ottomano. Quest’opera pittorica si inserisce, pertanto, all’interno delle pratiche commemorative, sollecitate dal Papato al ritorno della flotta cristiana e posta sotto la protezione della Madonna del Rosario, da celebrarsi il 7 ottobre.
Cominciamo, quindi, ad esaminare e rintracciare alcuni elementi preminenti nella costruzione di questa Allegoria.
Al centro della volta, tra cornici e decorazioni multiple che modulano lo spazio, troviamo la Giustizia, attorniata dal Tempo alato, Apollo e Giove e dalla personificazione dei Vizi e dai simboli del successo militare dovuto a tre protagonisti principali: Venezia (leone), Impero asburgico (Aquila), Chiesa (pastorale).
Attorno, in disposizione aggrovigliata, sono disposti i Vizi: il turco disarcionato dal cavallo, il drago, l’invidia o eresia intenta a divorare un serpente, la Superbia (il satiro con lo specchio in mano), Gola (un uccello che si nutre di una carcassa di cavallo), Avarizia (una donna che rovescia una cascata di monete), Ira (un uomo che pugnala un bambino), la presenza dell’Orso, Lussuria (cinghiale e Venere e Cupido), Giudizio di Mida, Accidia (donna con testa appoggiata alla mano, melancolia), Ignoranza (asino).
Il complesso programma iconografico è completato sulle pareti, dipinte a monocromo, in cui si individuano figure della classicità e del Mito (Plutone, Giano bifronte e le chiavi, l’Abbondanza e la Vittoria, Fortuna e Armigeri).
Ovviamente l’Apoteosi della Giustizia, al centro della volta, oppone alla sconfitta dei Vizi ottomani, un’età nuova, un rinnovamento universale, spirituale e politico rappresentato dalla Cristianità.
Per chi volesse approfondire l’argomento, sul piano iconografico, potrebbe procedere alla Lettura di:
F. SORCE, La giustizia a Lepanto e i Vizi dei Turchi. Gli affreschi di Lattanzio Gambara in Palazzo Lalatta a Parma, in Rivista Ist. Naz. Archeol. e St. Arte, 2016, n° 71
Lucia Fornari Schianchi
ultimo aggiornamento della pagina: 27 ottobre 2021