Conferenza a cura di Viviana Menoni
Galleria d’immagini della conferenza del 4 novembre 2024 tenuta da Viviana Menoni su Dante e Guido Cavalcanti.
Alla signora Nathalie Giaffreda va la nostra riconoscenza per le fotografie a corredo dell’articolo.
L’amicizia tra i due poeti nasce in gioventù quando Dante osa inviare a Guido, bello, ricco e già famoso a Firenze, un primo sonetto “A ciascun un’alma presa e gentil core…”
Si conoscono e Dante resta fortemente influenzato dalla poesia di Cavalcanti, i cui versi si recitano per le vie della città e alimentano l’ardire amoroso.
L’amor cortese, apparso nella poesia dei lirici provenzali, viene ripreso dai poeti del Dolce Stilnovo come sentimento che nobilita l’uomo, esperienza fondata sia sul desiderio sia sulla tensione spirituale. La morte di Beatrice, nel 1290, getta Dante nella disperazione; studia filosofia e legge autori latini che come lui avevano perso la persona amata. La fine della sua crisi porta alla composizione della Vita Nova – intesa come rinascita – opera dedicata a Guido “al primo dei miei amici” che concepisce una visione dell’amore completamente diversa dalla sua. Entrambi si dichiarano “fedeli d’amore” ma mentre per Guido l’amore è passione travolgente, dolorosa, sottratta al controllo della ragione, per Dante Amore è “…nobilissima virtù che nulla sofferse…” “…mi reggesse senza lo fedele consiglio de la ragione…”.
Simboli della visione di Guido sono Paolo e Francesca che Dante incontra nel V Canto dell’Inferno, dove sono puniti i lussuriosi. Francesca narra che leggendo per diletto il romanzo d’amore tra Lancillotto e Ginevra “…la bocca mi baciò tutta tremante. Galeotto fu il libro e chi lo scrisse, quel giorno più non vi leggemmo avante.”
Dante alle parole di Francesca si commuove e perde i sensi “…cadde come corpo morto cade”.
La figura di Cavalcanti è rievocata anche nel X Canto dell’Inferno, canto degli eretici, dove il poeta incontra Cavalcante de’ Cavalcanti, padre di Guido, che gli chiede: “Se per questo cieco carcere vai per altezza d’ingegno, mio figlio ov’è? e perché non è teco?”
E Dante a lui: “Da me stesso non vegno: / colui ch’attende là, per qui mi mena / forse cui Guido vostro ebbe a disdegno.” A chi si riferisca Dante con il pronome cui non è chiaro, può significare a colui che, cioè a Virgilio che lo guida attraverso l’inferno, o a colei che, a Beatrice che lo accompagna alla salvezza e alla grazia in contrasto con Guido che esclude la trascendenza. L’amore per Guido è sofferenza strumento di salvezza, è esperienza lacerante; la donna non ha nulla della persona angelicata della Vita Nova, infatti scrive:
“Voi che per li occhi mi passaste ’l core
e destaste la mente che dormia,
guardate a l’angosciosa vita mia,
chè sospirando la distrugge amore…”
Entrambi i poeti subiscono il dolore dell’esilio; nel 1300 Dante diventa Priore, in questa veste è tra coloro che decretano la messa al bando di alcuni nobili fiorentini, protagonisti di violenti scontri tra guelfi bianchi e neri, e tra questi Guido Cavalcanti.
Revocato il bando, Guido muore poco dopo il suo rientro a Firenze.
Dante, accusato di essersi appropriato di denaro pubblico, deve lasciare la sua città dove non farà più ritorno.
Cavalcanti:
Perch’i’ no spero di tornar giammai,
ballatetta, in Toscana,
va’ tu, leggera e piana,
dritt’a la donna mia,
che per sua cortesia
ti farà molto onore.
Canto XVII del Paradiso
Cacciaguida a Dante
Tu proverai sì come sa di sale
lo pane altrui, e come è duro calle
lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale.
Marisa Dragonetti
ultimo aggiornamento della pagina: 13 novembre 2024