Liszt lettore di Dante ma anche Liszt musicista non solo virtuoso; Liszt profondo pensatore, pienamente ottocentesco eppure costantemente rivolto a un progressismo umanitario; Liszt nel bicentenario della nascita, ancora troppo conosciuto dal grande pubblico come virtuoso del pianoforte anziché nella sua complessa personalità intellettuale. Perché in fondo proprio questo fu Liszt, un intellettuale che nutriva l’ambizione di una musica umanitaria che permeasse l’intera società, guidandola lungo un cammino di continuo progressismo.
E proprio questo è stato il tentativo della conversazione dello scorso 18 aprile all’Auditorium di Banca Monte Parma, promossa dalla Associazione Dante Alighieri di Parma nell’ambito dei consueti «Lunedì della Dante»: davanti a un pubblico ricco e incuriosito, il ben noto musicologo Renato Di Benedetto e Giuseppe Martini, collaboratore della pagina culturale della «Gazzetta di Parma» – con l’ausilio di immagini e di alcuni ascolti musicali, hanno provato a restituire quella dimensione filosofica lisztiana che la fama del suo funambolismo tecnico ha mistificato se non oscurato, legando a un’immagine di superficialità un musicista che fu al contrario tenace pensatore.
Dall’infanzia a Raiding, in Ungheria, dove nacque da una famiglia alle dipendenze del principe Esterházy, l’itinerario di Liszt si snoda attraverso la necessità di piacere al pubblico prima per procurarsi una nuova collocazione sociale, e poi per trascinarlo lungo una nuova strada di emancipazione culturale e di illuminazione sociale. Su questa base si è svolta l’illustrazione di Di Benedetto e Martini dello sforzo lisztiano di cogliere i segmenti radicali della sua cultura romantica, innervati fra Hugo, Berlioz, Paganini, una cultura del progressismo che accende la luce sotto la quale interpretare più correttamente il «virtuosismo trascendentale» di Liszt: trascendentale non in quanto inarrivabile tecnicamente ma per la tensione verso un continuo oltre, alla ricerca di una perfettibilità perpetua che coinvolga tutta la società. Una società, secondo l’influenza di Lammenais e Saint-Simon così forte in Liszt specialmente dopo la folgorante esperienza della rivoluzione parigina del 1830, ove la musica dovrebbe assumere un ruolo centrale accanto al sacerdote, all’intellettuale e al legislatore. In questo senso la musica a programma lisztiana non è mai mera illustrazione di un testo letterario di riferimento, ma il tentativo di coglierne l’essenza profonda attraverso un linguaggio intraducibile.
Così, attraverso un continuo passarsi la parola fra Di Benedetto e Martini, fra aneddotica biografica, che in Liszt è sempre funzionale alla propria elaborazione intellettuale, e le poderose acquisizioni del pensiero lisztiano, attraverso l’ascolto e la citazione di pezzi noti e meno noti, si è giunti a illustrare con linguaggio piano il momento di sintesi storica che Liszt opera a metà secolo fra il proprio anticlassicismo, fondato sulla rielaborazione continua dei motivi musicali, e la struttura della sonata classica, con il quale dimostrò la validità dei due mondi una volta compenetrati. A questo vertice appartengono sia la Sonata in si minore, sia la «Fantasia quasi Sonata après une Lecture du Dante», nel nome del quale Liszt toccò un nuovo supremo traguardo unendo quella sintesi storica alla propria profonda concezione di musica a programma.
Isa Guastalla
ultimo aggiornamento della pagina: 2 maggio 2011