Il giallo tradizionale era un gioco a scacchi sino alla fine del racconto per poi risolvere tutto con un fulmineo colpo di scena. Oggi, secondo il parere di Varesi, che abbiamo ascoltato nella Sala Bertoja del Convitto Maria Luigia lunedì 13 dicembre 2021, non può essere più così. Il mondo si è fatto molto complesso ed è doveroso che anche questo genere letterario cambi e si adegui alla contemporaneità. Davanti ad un omicidio non è tanto importante chiedersi chi è stato, ma perché è avvenuto e da quali moventi è scaturito un delitto. Solo facendosi queste domande si può allargare lo sguardo, leggere il contesto in cui si svolgono i fatti, capire cosa si nasconde in una determinata realtà familiare, ambientale o sociale.
A questo proposito cita Gadda e il suo famoso romanzo Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, che non si conclude con lo scioglimento dell’enigma, ma con accenni e allusioni: lo scrittore fa solo capire, ma non dice, convinto che “attorno al delitto giri una depressione ciclonica”, ruotino diverse concause che sfociano nel crimine. Una Roma malavitosa fa da sfondo a questa storia.
Il noir, dunque, induce a cogliere il motivo scatenante di un reato e per questo si aggancia alla realtà e ai suoi problemi, elevando nel contempo il giallo sociale alla letteratura “alta”.
Parla quindi di Sciascia che nel romanzo Il giorno della civetta scrive apertamente di una mafia che si infiltra nei gangli dell’economia e nelle pieghe della società, a tutti i livelli e non solo in Sicilia. Aggiunge alcuni esempi di altre realtà geografiche, come Torino e Milano, dove il noir svela fatti gravi ma tenuti sotto traccia.
Interviene, a questo punto, il giornalista Francesco Monaco della Gazzetta di Parma per ricordare che anche nei suoi libri ambientati a Parma, compare il fenomeno del racket con la complicità dei colletti bianchi.
Risponde che nei suoi gialli si propone di far emergere il lato oscuro della città, quello che molti non vogliono vedere negandolo con “Da noi questo non esiste” o “Ci è toccato solo qualche schizzetto.” Ma sostiene che così non si affronta la realtà, non si risolvono i problemi e non si migliora.
Varesi ha sempre guardato a Parma con occhio critico e di recente ha denunciato su Repubblica il modo in cui ha interpretato il ruolo di Capitale italiana della cultura 2020/21 definendola “città che molto s’imbroda di essere culturalmente all’avanguardia e invece continua a crogiolarsi nel suo passato celebrato dalle solite lobbies autoreferenziali senza progettare il proprio futuro e senza aprirsi al nuovo”; ha rimarcato che è l’unica città emiliana a non avere un festival culturale degno di rilievo; ha ammonito le istituzioni a “non andare in giro a vantarsi di essere una città attenta alla cultura”.
Monaco sottolinea che i protagonisti dei suoi libri “mangiano” e Varesi risponde che Soneri ha il senso del dovere, ricerca la giustizia, ma è disilluso e tormentato e trova nel cibo un momento di pausa alla fatica, forse uno dei pochi elementi identitari che rimangono: noi mangiamo quello che siamo.
Un’altra domanda riguarda i social, che vengono considerati dallo scrittore sia positivamente che negativamente in quanto divulgano notizie in tempo reale ma non sempre vere, sono un mezzo di comunicazione istantaneo ma possono modificare subdolamente le opinioni delle persone, mettono facilmente in contatto gli individui ma anche a rischio la loro privacy.
In chiusura si parla dell’ultimo libro, Reo confesso. L’autore spiega che già all’inizio si conosce il colpevole, ma il commissario fiuta che qualcosa non funziona e fa partire un’indagine in cui le cose inseguono il protagonista e non viceversa. Pensavo che forse era necessario scrivere un romanzo in cui chi indaga non arriva a una conclusione. Magari la intuisce o la individua, ma non sotto il profilo strettamente procedurale e giudiziario. In altre parole, l’investigatore capisce chi è colpevole, ma non può o non riesce a provarlo. In questo senso un grande esempio è “La promessa” di Dürrenmatt, libro che ho ammirato e che, non a caso, ha come sottotitolo “requiem per un romanzo giallo”.
Sottolinea che il suo ultimo lavoro è un antigiallo. È un giallo anticonvenzionale.
SI PUÒ RACCONTARE UN GIALLO DOVE NON C’È UNA SOLUZIONE?
Il pomeriggio si è concluso con un amichevole scambio di auguri di Buone Feste.
Lori Carpi
ultimo aggiornamento della pagina: 21 dicembre 2021