Relatrice: Barbara Pecchini
20 novembre 2017
Il Sacello di San Paolo, affascinante struttura architettonica identificata solo negli anni ’50 del ‘900 all’interno del complesso di San Paolo, è stato più volte studiato nel corso del tempo, ma a tutt’oggi gli interrogativi che lo riguardano rimasti aperti sovrastano ampiamente per numero e importanza le – poche – certezze raggiunte, che riguardano dati eminentemente materiali (misure, struttura). Sono state avanzate numerose ipotesi riguardanti la sua funzione nel corso dei secoli, che tutti gli studiosi attribuiscono comunque all’ambito liturgico direttamente o indirettamente, ma l’argomento più dibattuto rimane quello della datazione. Se è vero infatti che i primi studi di Augusta Ghidiglia Quintavalle e Giuseppe Nocilli, dei primi anni ’60, riconducono la prima matrice costruttiva all’età bizantina, anche se con sostanziali discrepanze temporali (l’una VII sec., l’altro X sec.), negli anni successivi, a partire dagli anni ’80, Marco Pellegri, Francesco Barocelli, Marzio Dall’Acqua si sono orientati verso epoche più tarde: l’età ottoniana per il primo, l’XI secolo e il primo romanico per gli altri (Lucia Fornari Schianchi scende addirittura al XII sec.), anche se con numerosi distinguo da parte del prof. Barocelli, il quale comunque suggerisce confronti che alimentano ipotesi più complesse. A tali suggestioni era giunto anche l’arch. Pellegri. Nell’ultimo decennio, Manuela Catarsi e Sauro Gelichi ricordano la struttura soprattutto nell’ambito di riflessioni topografiche. Della Torre che include e sovrasta il Sacello si occupano solo il prof. Barocelli e Michele Dall’Aglio, che però riportano elementi principalmente descrittivi.
Nel corso dell’incontro si è voluto approcciare l’argomento non tanto mediante un’ulteriore interpretazione dei documenti d’archivio o riflessioni di tipo topografico, cui comunque si è fatto cenno, ma basandosi sull’osservazione accurata delle strutture e cercando confronti stlistici che possano far luce sulla storia antica del monumento.
Da questo esame particolareggiato è emersa, agli occhi della relatrice, una sostanziale non unitarietà costruttiva del manufatto, i cui elementi architettonici e strutturali denunciano una successione di fasi costruttive nell’arco di alcuni secoli: se è vero che il ciborio laterizio costituito dalle quattro colonne “accantonate”, dagli archi che le collegano e dalla cupola che si appoggia su di loro può essere compatibile con un clima stilistico protoromanico, anche se realizzate con sorprendente maestria e tecnica ineccepibile, non esente da elementi di raffinata eleganza come i pennacchi a conchiglia, è altrettanto vero che le pareti ciottolate, gli ingressi e i vani aperti nell’ambiente sono più naturalmente attribuibili ad epoche precedenti, per tutta una serie di elementi che li rendono non compatibili con la struttura laterizia interna. A questo proposito sono stati portati numerosi esempi di architetture coeve, che portano a supporre, anche sulla scorta delle notizie più o meno storiche in nostro possesso, probabilmente due fasi costruttive precedenti a quella finale: risalendo nel tempo, l’absidìola potrebbe essere attribuita alla fine del IX secolo, mentre la torre in sé potrebbe essere un manufatto forse addirittura longobardo del VII sec., probabilmente risultato dall’adattamento, in qualche misura, di una costruzione romana di età tardo-antica.
Questo impianto ipotetico deve comunque tenere conto della scoperta, in anni recenti, di un ambiente paragonabile al Sacello, sia per dimensioni complessive che per struttura: l’ambiente ora inserito all’interno dell’edificio padronale di Corte Rainuzzi a Gattatico (RE), in stato di totale abbandono e ormai prossimo al definitivo cedimento strutturale.
Questo ambiente presenta impressionanti elementi paragonabili al più fortunato Sacello del San Paolo: la cupola laterizia, i pennacchi (in quel caso marcatamente sferici), le colonne laterizie appoggiate alle pareti ciottolate (ma in quel caso le colonne si trovano a metà della parete e non negli angoli), le arcate che appoggiano alle colonne lungo le pareti (ma in quel caso ogni parete ha due arcate, a volte duplicate, quasi in seguito ad un ripensamento costruttivo), e la presenza di tombe al livello inferiore (purtroppo devastate dai tombaroli negli ultimi anni di totale incuria). L’ambiente di Gattatico si presenta completamente fatiscente e ancora pesantemente interrato (i capitelli delle colonne si alzano da terra per poche decine di centimetri), per cui una sua lettura è estremamente difficoltosa. Tralasciando il fatto che salvaguardare un bene che sicuramente ha almeno un millennio di vita, prima che il tracollo dell’edificio in cui è inserito lo distrugga, dovrebbe essere un imperativo per una società che dovrebbe dirsi civile (soprattutto in un Paese, come l’Italia, che deve molto del suo fatturato al turismo culturale), rimane il fatto che un confronto curato e attento tra le due strutture potrebbe chiarire molti aspetti che, altrimenti, potrebbero essere destinati a rimanere per sempre ignoti.
Al termine dell’incontro si è sottolineata la necessità di mettere a disposizione della comunità locale gli studi effettuati in precedenza e si è ribadito l’appello per la salvaguardia del “Sacello” di Corte Rainuzzi a Gattatico.
Barbara Pecchini
ultimo aggiornamento della pagina: 5 dicembre 2017