Dante in musica, Dante e la musica sono temi ben noti alla musicologia. Non solo il nostro maggior poeta ebbe intrinseca dimestichezza con la musica e i musicisti del suo tempo (diversi passi del suo poema attestano una sua specifica competenza tecnica), ma nel corso dei secoli la sua poesia ha ispirato a musicisti d’ogni età composizioni vocali e strumentali di svariatissimi generi e forme, da Josquin a Verdi, da Merulo e Marenzio a Liszt e Ciaikovskij. Finora però essa aveva solamente lambito il mondo dell’opera, limitandosi a fornire qualche verso da interpolare in questo quel libretto, o qualche personaggio da far comparire sulla scena lirica; nessuno però aveva osato la temeraria impresa di trasformare il Divino Poema in un soggetto operistico. Lo ha fatto all’alba del terzo millennio Louis Andriessen, decano e capofila dei musicisti olandesi, traendo coraggio dalla sua sconfinata ammirazione per Dante (al quale egli assegna l’assoluto primato fra i grandi spiriti dell’Occidente), dalla sua confidenza con la cultura italiana (è stato allievo di Luciano Berio e nella sua formazione ha avuto parte importante la musica di Alfredo Casella), e dalla sua formidabile padronanza degli arsenali tanto della musica quanto della letteratura occidentale, che gli consente di mescolare nel libretto al testo dantesco brani della Bibbia e del secentista olandese Joost van den Vodel (e di conseguenza più lingue: italiano, latino, olandese), e nella partitura polifonia medievale, jazz, musica elettronica, echi strawinskiani e minimalismo nordamericano, in un sincretismo grandioso ben conveniente al respiro cosmico del poema “al quale han posto mano cielo e terra”.
Di Andriessen e della sua Commedia ha parlato lo scorso 5 marzo ai soci della sezione parmigiana della “Dante Alighieri” Gianluigi Mattietti, musicologo, docente universitario di storia della musica e critico musicale aggiornatissimo, che quando non è a Parma (dove risiede) o a Cagliari (dove insegna) percorre le vie del mondo inseguendo le ultime novità della musica contemporanea e tenendone quindi costantemente il polso. Mattietti ha prima tracciato un profilo del compositore, ben noto e acclamato in Europa e soprattutto negli Stati Uniti (dove La Commedia dopo la première di Amsterdam nel 2008 è stata ripresa più volte ed è anche stata insignita del Grawemeyer Award for Music Composition dell’Università di Louisville per l’anno 2011), ma praticamente sconosciuto in Italia, e si è poi soffermato sugli aspetti più audacemente innovativi dell’opera: il personalissimo colore ottenuto dalla mescolanza di suoni elettronici e strumentali (e dal predominio, in questi ultimi, dei fiati e delle percussioni sugli archi) e la geniale interazione di linguaggio operistico e di linguaggio filmico (un’azione cinematografica, ideata dal cineasta Hal Hartley, s’intreccia infatti costantemente con l’azione che si svolge nella musica e sulla scena). Con l’aiuto di esempi musicali e visivi efficacemente scelti, Mattietti ha fatto percepire al suo pubblico come Andriessen riesca a imporre il sigillo unificante della sua personalità allo spregiudicato eclettismo dei materiali impiegati, e come perciò, nonostante l’apparenza dissacratoria delle sue scelte narrative (Dante è trasformato in una giornalista televisiva a caccia di eventi, Beatrice in un importante personaggio politico; protagonista dell’azione cinematografica è una turbolenta banda di musicisti di strada che si muove sullo sfondo di un inquieto paesaggio metropolitano) egli riesca non solo a conservare, metabolizzandola, la potenza concettuale e poetica del messaggio dantesco, ma anche a far rivivere il fascino e la capacità di coinvolgimento propri dell’opera italiana, al punto da indurre qualche critico ad evocare, dopo la prima esecuzione, «la ricchezza musicale e l’energia imperitura dell’ultimo Verdi».
In apertura della seduta è stato brevemente commemorato Pierluigi Petrobelli. Dell’insigne studioso verdiano, che della “Dante Alighieri” era stato ospite qualche anno fa e del quale Mattietti era stato discepolo alla “Sapienza” di Roma, è stata ricordata in questa sede soprattutto l’inesauribile sete di conoscenza e il gusto dell’avventura intellettuale, ch’egli sapeva trasmettere agli allievi incoraggiandoli a non rinchiudersi nei recinti delle loro specialità accademiche e ad aprirsi a sempre nuove esperienze.
Renato Di Benedetto
ultimo aggiornamento della pagina: 21 marzo 2012