Relatrici: Giovanna Silvani e Isa Guastalla
“Il canto di Natale” di Charles Dickens e “Racconto di Natale” di Dino Buzzati sono stati il filo conduttore dell’incontro del 5 dicembre alla Dante con la prof.ssa Giovanna Silvani e la prof.ssa Isa Guastalla. Romanzo breve il primo, racconto il secondo, entrambi ambientati nella notte di Natale, notte che suscita suggestioni, sensazioni e ricordi.
Dickens visse nel periodo vittoriano, epoca che portò l’Inghilterra ad essere la più forte potenza industriale e marittima e vide la nascita di una prospera borghesia mercantile, ma parte fondamentale in questo processo furono le masse provenienti dalla campagna per lavorare nelle fabbriche e costrette a vivere ammassate negli slums in condizioni miserevoli e inumane. Lo scrittore fu sensibile ai problemi sociali causati dalla rivoluzione industriale; descrisse i quartieri malfamati di Londra, lo sfruttamento minorile, la vita della povera gente vessata da leggi inique. Realismo che spesso sfocia in sentimentalismo, alcune situazioni sono esagerate forse per commuovere il lettore o per un intento morale: i buoni sono ricompensati, i cattivi si redimono e sono puniti. “A Christmas Carol” (1843), una favola sociale e allegorica che ricorda le moralities medioevali con la personificazione dei vizi e delle virtù e con elementi del romanzo gotico (la paura, le apparizioni), narra la parabola del vecchio Ebenezer Scrooge, avaro ed egoista.
Scrooge non ama e non è amato da nessuno, ha un solo nipote che non vede mai, trascorre le giornate nel suo ufficio, freddo e umido, lavorando e pensando solo ad accumulare soldi.
La visita del fantasma terrificante del suo socio, morto anni prima, e di tre spiriti – il Natale passato, quello presente e quello futuro – lo pone di fronte alla sua aridità spirituale.
Lo spirito del Natale passato appare bianco e circondato da una corona di luce. Porta il vecchio indietro nel tempo nel paese dove aveva trascorso l’infanzia e nella scuola che aveva frequentato; qui rivede l’amata madre e la sorella.
Lo spirito del Natale presente ha l’aspetto di un gigante dall’aria allegra e il viso sorridente. Conduce Scrooge ad osservare come le persone trascorrino il Natale insieme, in serenità ed allegria.
Lo spirito del Natale futuro, una figura altissima avvolta in un mantello e cappuccio neri, gli mostra cosa gli accadrà se non cambierà vita e lo porta in un cimitero a vedere la sua tomba dimenticata da tutti.
In tal modo ripercorre tutta la sua vita, anche quella futura, priva di umiltà e altruismo, squallida e solitaria e può osservare, al contrario, che molta gente pur vivendo in povertà riesce a godere delle piccole cose.
È inevitabile il lieto fine: Scrooge si pente, decide di fare regali a tutti, sorride ai passanti e si reca dal nipote dove trascorre uno splendido Natale in famiglia.
“A Christmas Carol” è una favola: il cattivo si redime, i buoni non lo disprezzano, i fantasmi fanno paura ma lo aiutano.
Una morality ottocentesca il cui messaggio dovrebbe forse essere ascoltato anche nel XXI secolo.
Quindi prende la parola Isa Guastalla che inizia a leggere il Racconto di Natale di Dino Buzzati.
L’incipit è sorprendente e crea un’atmosfera cupa, pesante, gotica che avvince.
“Tetro e ogivale è l’antico palazzo dei vescovi, stillante salnitro dai muri,
rimanerci è un supplizio nelle notti d’inverno. E l’adiacente cattedrale è immensa,
a girarla tutta non basta una vita, e c’è un tale intrico di cappelle e
sacrestie che, dopo secoli di abbandono, ne sono rimaste alcune pressoché
inesplorate. Che farà la sera di Natale – ci si domanda – lo scarno arcivescovo
tutto solo, mentre la città è in festa? Come potrà vincere la malinconia?
Tutti hanno una consolazione: il bimbo ha il treno e pinocchio, la sorellina ha
la bambola, la mamma ha i figli intorno a sé, il malato una nuova speranza, il
vecchio scapolo il compagno di dissipazioni, il carcerato la voce di un altro
dalla cella vicina. Come farà l’arcivescovo? Sorrideva lo zelante don Valentino,
segretario di sua eccellenza, udendo la gente parlare così. L’arcivescovo
ha Dio, la sera di Natale. Inginocchiato solo soletto nel mezzo della cattedrale
gelida e deserta a prima vista potrebbe quasi far pena, e invece se si sapesse!
Solo soletto non è, non ha neanche freddo, né si sente abbandonato. Nella
sera di Natale Dio dilaga nel tempio, per l’arcivescovo, le navate ne rigurgitano
letteralmente, al punto che le porte stentano a chiudersi; e, pur mancando
le stufe, fa così caldo che le vecchie bisce bianche si risvegliano nei sepolcri
degli storici abati e salgono dagli sfiatatoi6 dei sotterranei sporgendo gentilmente
la testa dalle balaustre dei confessionali.
Così, quella sera il Duomo; traboccante di Dio.”
Il Duomo è traboccante della presenza divina, una presenza calda, accogliente, visibile, in grado di cancellare le ombre sinistre che incombono sulla cattedrale. Ma bussano al porta e e qualcosa di inatteso sta per accadere. Qualcosa di misterioso.
È un mendicante, affamato e infreddolito, che chiede a Don Valentino di poter avere un po’ di Dio di cui è piena la chiesa “E’ di sua eccellenza l’arcivescovo. Serve a lui, fra un paio d’ore. Sua eccellenza fa già la vita d’un santo, non pretenderai mica che adesso rinunci anche a Dio!”.
Il povero se ne va desolato ma Dio sparisce con lui.
Inizia, dunque, per Don Valentino, un lunga e infruttuosa ricerca per riportare un po’ della presenza e della luce di Dio al suo arcivescovo. Ogni volta che la missione sembra vicino al compimento, il rifiuto egoistico del dono fa allontanare Dio e porta tristezza. Infine Don Valentino, sgomento e stremato, sente un coro di angeli e vede una flebile luce. Apre una porticina e si ritrova in una immensa chiesa colma del calore divino. Entra per elemosinarne un po’: c’è un uomo solo che prega. Il sacerdote gli si avvicina, ma con sorpresa vede il suo arcivescovo che lo accoglie a braccia aperte chiedendogli dove fosse stato in quella notte da lupi.
Si possono dare tante interpretazioni al pellegrinaggio di don Valentino e, anche, alla presenza surreale del vescovo nel finale della storia. Ognuno può vedere nella ricerca del segretario un percorso introspettivo, autoaccusatorio e penitenziale; così la comparsa inaspettata del vescovo, che non si è mai mosso dalla cattedrale, può far pensare alla immaginazione espiatoria del prete consapevole d’aver perduto Dio nel momento in cui si è rifiutato di condividerlo con uno mendico. Dio è scomparso, ma solo per lui, non per quelli che sanno amare e condividere con gli altri i propri doni. Per Dino Buzzati in questo amore Divino consiste il significato più profondo del Natale.
In chiusura Guastalla ha letto due poesie dedicate al Natale: “A Gesù Bambino” di Umberto Saba e “Natale” di Ungaretti, una semplice preghiera la prima, un doloroso desiderio di pace l’altra, scritta nel 1916 durante la Prima Guerra Mondiale.
Due componimenti assai diversi tra loro ma entrambi pieni di spiritualità.
A Gesù Bambino di Umberto Saba
L A
La notte è scesa
e brilla la cometa
che ha segnato il cammino.
Sono davanti a Te, Santo Bambino!
Tu, Re dell’universo,
ci hai insegnato
che tutte le creature sono uguali,
che le distingue solo la bontà,
tesoro immenso,
dato al povero e al ricco.
Gesù, fa’ ch’io sia buono,
che in cuore non abbia che dolcezza.
Fa’ che il tuo dono
s’accresca in me ogni giorno
e intorno lo diffonda,
nel Tuo nome.
Natale
Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade
Ho tanta
stanchezza
sulle spalle
Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata
Qui
non si sente
altro
che il caldo buono
Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare
Marisa Dragonetti – Lori Carpi
ultimo aggiornamento della pagina: 18 dicembre 2018