Edoardo Fornaciari
Lunedì 18 marzo, agli incontri della Dante Alighieri, Edoardo Fornaciari ci ha parlato della sua professione, iniziando dai maestri, primo fra tutti Robert Capa con le sue opere universalmente note: il miliziano che cade, colpito a morte, durante la guerra civile spagnola; i soldati americani che stanno per toccare la spiaggia della Normandia nel D-Day, sotto il tiro delle mitragliatrici tedesche; le donne di Napoli che piangono i loro figli uccisi.
Questa non è certamente una professione facile; occorre molto coraggio, disprezzo del pericolo, curiosità e fortuna. Trovarsi, al momento giusto, nel luogo giusto.
Esserci: prevedere, capire, scattare prima degli altri la foto che condensi tutto un racconto.
Andare oltre l’orrore, il pudore, la paura. Ora e subito.
Forse la macchina fotografica in mano colma la distanza tra ciò che è il fotoreporter e ciò che quel momento gli chiede di essere.
Anche la vita di Fornaciari è stata piena di passione e di rischio, di rapide decisioni e di espedienti per documentare i momenti drammatici della nostra storia o i cambiamenti più significativi di una società in sorprendente e rapida evoluzione.
Ci ha narrato le sue imprese più pericolose o fortunate, gli spostamenti, i compagni di lavoro, i concorrenti “a chi arriva prima”. E di Parma, Roma, Parigi, del mondo. Di famose agenzie e noti settimanali per cui ha lavorato. Occasioni, incontri, uomini, donne, fatti, foto, foto e foto.
Il suo racconto è stato vivace, partecipato, ricco di ricordi e di emozioni. La sua voce inconfondibile ci ha parlato di un’epoca gloriosa e di macchine fotografiche mitiche (come la Leica), di obiettivi e di zoom, di essicatoi e di rocambolesche spedizioni di rullini.
E ora?
Macchine digitali, PC, chiavette e invii da computer a computer. Tutto bene, tutto più facile, ma oggi i telefonini sono nelle mani di tutti e tutti scattano foto.
Che futuro avrà questa professione?
Chi sostituirà l’occhio colto del fotoreporter?
Lori Carpi
ultimo aggiornamento della pagina: 28 marzo 2013