Paradiso dantesco:
i canti della giustizia

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Relatore: dott. Italo Comelli

“Diligite iustitiam… qui iudicatis terram”: le cinque parole dei versi 91 e 93 del XVIII canto, che formano il primo versetto del biblico libro della Sapienza, costituiscono l’incipit della dissertazione sulla giustizia così come si trova nei canti 18, 19 e 20 del Paradiso.

Infatti, quando il rosso di Marte si muta nel bianco di Giove, Dante si accorge di essere asceso in un cielo superiore, il 6°.

Allora vede le anime degli spiriti giusti tracciare delle lettere dell’alfabeto che trascrivono la sentenza scritturale prima citata: Amate la giustizia voi che governate la terra; poi si dispongono in modo tale da formare la testa e il collo di un’aquila esaltando la giustizia terrena e la giustizia divina.

Dante politico ardito che, sottolinea il relatore, ricorre correntemente alla numerologia per attribuire significato agli elementi narrativi della contemporaneità secondo una trama simbolica che risultava visibile al lettore medievale.

Dante teologo ardito che, grazie all’aquila, cerca risposte sul dogma della redenzione possibile solo attraverso la fede. L’Aquila, simbolo e interprete della dottrina divina, indugia e insiste sui limiti della ragione umana e sulle pretese di comprendere l’infinita giustizia. Alla lezione di umiltà segue il richiamo all’ortodossia evangelica e la soluzione: la vera giustizia, la sola, consiste nel conformarsi alla volontà di Dio.

Se il primo discorso dell’Aquila riconferma la fede nell’eterno valore della Somma Sapienza, il secondo discorso condanna i falsi re che vanificano il santo segno e che professano solo a parole il nome di Cristo.
Alla violenta condanna contro i re corrotti si contrappone, nel canto XX, l’alto elogio dei giusti che godono, nell’occhio dell’Aquila, della più elevata beatitudine: Davide d’Israele, Costantino, Rifeo, Traiano, Ezechia, Guglielmo.

E ancora una volta, secondo il relatore, Dante è ardito: straordinaria è la salvazione di Traiano e straordinaria è la salvezza concessa a Rifeo da un battesimo impartito prima che fosse istituito l’atto liturgico tramite la diretta infusione delle virtù teologiche.

Soprattutto, nella rassegna degli spiriti giusti si ripropone il motivo essenziale dei canti del cielo di Giove: l’abisso che intercorre fra le valutazioni umane e l’imperscrutabile giustizia divina.

E voi, mortali, tenetevi stretti
a giudicar: ché noi, che Dio vedemo,
non conosciamo ancor tutti li eletti; 135

ed ènne dolce così fatto scemo,
perché il ben nostro in questo ben s’affina,
che quel che vole Iddio, e noi volemo». 138

Maria Pia Bariggi

ultimo aggiornamento della pagina: 19 marzo 2015

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