8 novembre 2013
Ridotto del Teatro Regio
Tutto, ma proprio tutto quello che avreste voluto sapere su Giuseppe Verdi e anche qualcosa di più. Luigi Chini, nel suo volume «Un cittadino di Villanova di nome Giuseppe Verdi» ripercorre con estrema attenzione la vita e le opere del Maestro, raccontando in una sorta di romanzo storico gli 88 anni vissuti dal Cigno di Busseto e mettendo al centro della vicenda Villa Sant’Agata, in Comune di Villanova Sull’Arda, appunto: la casa che Verdi costruì in mezzo secolo, facendola diventare fulcro attorno a cui ruotavano tutti i personaggi della vita del Maestro, dai contadini ai librettisti, ai cantanti, agli editori, agli amici.
Il libro prende le mosse dagli antenati di Verdi, «paroni», ossia piloti, manovratori di imbarcazioni: il nonno del Maestro, Giuseppe, era oste, ma anche «parone» e «portinaro» del porto d’Ongina (il torrente che scorre proprio davanti a Villa Sant’Agata) e di qui passò, il San Martino del 1781, all’osteria delle Roncole ma, ancora oggi, il soprannome dei Verdi nella Bassa piacentina è «paròn». Forse di qui l’attaccamento del Maestro a quelle terre, che volle far sue a partire dalla villa, per arrivare ai tanti poderi acquistati e coltivati nei dintorni.
Rigoroso nel succedersi delle vicende, Chini dipana il racconto con stralci di lettere, aneddoti e storie vere a dipingere un ritratto per certi versi inedito del più grande Genio del melodramma italiano. Oltre le opere che scandiscono a suon di musica la lunga vita di Verdi, nel volume si scoprono le relazioni, le amicizie, il carattere, le passioni di un uomo colto e, allo stesso tempo, schivo: conscio delle proprie origini, ma anche del proprio valore e del proprio successo, alle cui lusinghe mai cedette.
È un Verdi quotidiano, familiare, che nella villa si occupa di tutto, con precisione e puntiglio, anche nei confronti del personale: «Io detesto tutte le tirannie e specialmente le domestiche. Ora i Gran Giardinieri, i Gran Cuochi, i Gran Cocchieri sono i veri tiranni d’una casa. Con questi, voi non siete più padrone di toccare un fiore del vostro giardino, di mangiare un semplice uovo con l’insalata, di adoprare i vostri cavalli, se piove, o se fa troppo sole! etc. etc. etc… No no: di tiranni in casa basto io solo, e so ben la fatica che io mi costo!!! Per altro io sono un tiranno che finisce a far sempre quello che non voglio… Ne volete una prova? Io scrivo opere… è la cosa che vorrei fare meno di tutte!!».
Il Verdi che non ti aspetti e rivela un affetto profondo anche per il suo cane Black, che accoglie il «Mago» e la «Peppina» (così si chiamavano fra loro il Maestro e Giuseppina Strepponi) al ritorno dalla Francia: «Il povero cagnaccio si fa vecchio, come i padroni. Se lo avesse veduto al nostro ritorno da Parigi, sarebbe rimasto commosso. Ho creduto che cadesse in convulsioni dalla gioia di rivederci. Io non so se la scimmia è un uomo deteriorato, ma certo l’uomo, per cuore, è lontano dall’essere un cane perfezionato!». È talmente grande l’affetto che il Maestro ha per questo «cagnaccio» che, in una triste lettera, Verdi scrive ad Opprandino Arrivabene: «…il mio povero Black è ammalato assai, non si muove quasi più e non vivrà a lungo. Ho comandato un altro Black che si sta fabbricando a Bologna, perché, nel caso che mi venisse in testa di fare un altro Don Carlos non lo potrei fare senza un collaboratore di quella specie!».
Dunque, davvero tutto quello che avreste voluto sapere su Giuseppe Verdi e anche di più, in un libro da leggere e anche da guardare per la ricchezza di immagini originali e spesso sconosciute.
Egidio Bandini
Per gentile concessione della «Gazzetta di Parma»
ultimo aggiornamento della pagina: 18 novembre 2013