a cura di Alessandra Mordacci
Il Prefetto, dott. Giuseppe Forlani, cortesemente ci accoglie giovedì 5 dicembre 2019 nel salone di rappresentanza e ci introduce alla storia del palazzo, diventato sede della Prefettura nel 1945, poi lascia la parola alla nostra guida.
Il palazzo venne edificato nei primi del XVII sec. da casa Farnese, su disegno di un architetto ignoto, e adibito dapprima ad alloggio o ad uso di principi o cadetti della casa regnante. Sembra che in precedenza vi esistesse una costruzione più antica poiché in una vecchia carta della città di Parma risulta, sia pure approssimativamente, composto di quattro corpi inquadrati con cortile centrale. Nel XVI l’edificio apparteneva a Bartolomeo Cantelli, che lo vendette nel 1572 al conte Giulio Rangoni, signore di Roccabianca.
Nel XVII sec. i Rangoni fecero completamente ricostruire il palazzo su progetto attribuito a Giovan Battista Barberini e Ferdinando Galli di Bibbiena. Come testimoniato dallo stemma ancora presente sul maestoso portale d’ingresso, a partire dal 1690 i principi Farnese abitarono parte del palazzo, che comunque rimase di proprietà dei Rangoni. Il ramo parmense della famiglia, tuttavia, si ridusse nel corso del Settecento, fino all’estinzione della casata nel 1762 alla morte del marchese Ludovico IV.
L’attuale facciata del palazzo tradisce elementi cinquecenteschi nello zoccolo e nel cornicione, mentre il resto venne eretto nel 1610.
Il prospetto presenta, in alto, un ricco classicheggiante cornicione in cotto, eleganti finestre ornate da cornici e volute in stucco, un imponente portale. È quest’ultimo l’elemento decorativo di maggior spicco: due possenti telamoni, su alti piedistalli, sorvegliano l’ingresso senza sostenere il balcone balaustrato poggiante sopra possenti mensole. La facciata presenta un’analogia con palazzo Davia Bargellini di Bologna eretto fra il 1638 ed il 1658 dall’architetto Bartolomeo Provaglia.
All’interno, di pregevole, vi sono l’androne e lo scalone baroccheggiante, caratteristico per le ricche decorazioni in stucco chiaro fra cui spiccano le nicchie ovali racchiudenti busti dipinti di nero, che, alternandosi ad anfore fiorite, si succedono nei due lati concludendosi nel fondo dei pianerottoli in nicchie portanti figure intere. Per la costruzione di nuovi servizi è, invece, scomparso il giardino e ne sono state rimosse anche le statue, fra queste una raffigurante un Nettuno con sottostante vasca fontanaria, che serviva egregiamente da sfondo.
Al primo piano le stanze, piuttosto vaste, rappresentano un tipico esempio di fastosa dimora signorile. Purtroppo nel tempo sono state, seppure in modo decoroso, modificate per le diverse destinazioni d’uso, ma nel nostro percorso abbiamo potuto appurare l’eleganza e la dignità degli arredi. Pareti tappezzate con stoffe di damasco, porte di legno scuro incorniciate, splendidi lampadari, salotti d’epoca, pregevoli quadri in gran parte riproduzioni da opere del Parmigianino.
Mordacci ci racconta, quindi, la storia della famiglia Rangoni partendo dal 1288 quando da Ada Rangoni e Aldobrandino d’Este di Ferrara iniziò la casa ducale Estense di Modena, che prosperò in prevalenza in questa città, pur fiorendo anche a Reggio Emilia, Firenze, Roma e Macerata. Secondo lo Spreti l’origine dei Rangoni sarebbe un guerriero o capitano di nome Gherardo, nato in Germania; il suo nomignolo “Rangôn” proverrebbe dal castello di Rancon, ma si ritiene tuttavia più probabile che Gherardo sia da annoverarsi fra i capitani al servizio della contessa Matilde contro l’imperatore Arrigo IV. Alcuni dei conti Rangoni parteciparono alle crociate e da allora adottarono lo stemma “d’argento a tre fasce d’azzurro col capo di rosso alla conchiglia d’argento” (come abbiamo potuto vedere nel salone) col titolo di marchesi signori di Spilamberto. Attraverso i secoli, questa grande famiglia fornì uomini illustri, in prevalenza capitani d’arme al servizio dei Pontefici e della Repubblica Veneta. La linea maschile dei Rangoni giunse all’epilogo quando l’ultimo del ramo di Parma, il Marchese Lodovico IV, “anima in Deo redidit” il 12 novembre 1762 nel suo magnifico palazzo di strada San Michele.
In seguito alla morte dell’ultimo Rangoni senza discendenza maschile, la Ducale Camera pose il sequestro sul palazzo e sui beni del “feudo” di Roccabianca. Ma i figli di una Rangone di Modena, residenti ambedue in quella città, intentarono una causa accampando diritti di successione. Scoppiò così una grave controversia fra gli eredi e la Ducal Camera, poiché quest’ultima si avvaleva del “Decreto de proibitiva alienatione in Forensens”, vale a dire che lo Stato aveva il diritto di incamerare beni sul territorio parmense se gli unici eredi fossero stati stranieri. Di conseguenza, nel 1763 le proprietà di Lodovico Rangoni che, come si è accennato, erano notevoli specie nella Bassa parmense insieme col palazzo parmigiano divennero patrimonio dello Stato.
Il fastoso palazzo nel XIX secolo divenne sede della Direzione Generale dei Conti della Regia Economica, indi destinato agli Uffici della Ducale Ferma Mista, così che per molto tempo fu chiamato “il Palazzo della Finanza”. In seguito decadde e col regno italico venne adibito, parzialmente, anche a caserma di Finanzieri, a Magazzino deposito di Sali, Tabacchi e Fiammiferi; infine vi ebbe sede l’Ufficio di verifica e pesi e misure e in parte anche l’Archivio di Stato.
Dopo profondi restauri e riattamenti, fu sede della “Casa del Fascio” e, dopo l’ultima guerra, come già detto, vi fu trasferita la Prefettura a seguito della distruzione dell’ex Palazzo Ducale, davanti alla Pilotta.
È da ricordare, infine, che nel 1947 vi fece solenne ingresso il primo Presidente della neo Repubblica Italiana, S.E. on. De Nicola, per la consegna della medaglia d’oro al Gonfalone della Città di Parma.
L. C.
ultimo aggiornamento della pagina: 14 dicembre 2019