Dell’esperienza vissuta il 4 maggio al Museo “Ettore Guatelli” ci rimane la certezza che i tanti oggetti, raccolti e sistemati in mille modi imprevedibilmente artistici, abbiano una loro vita, una profonda capacità evocativa, una spontanea predisposizione affabulatoria. Sono testimoni di una società contadina che per secoli ha condotto un’esistenza isolata e sempre uguale, in lotta con la fatica, la fame e le malattie.
Nel Museo si trova una monumentale fotografia della quotidianità di uomini e donne che lavoravano queste terre. Gli scatti immortalano attrezzi da lavoro, arredi della casa, modesti abiti e calzature, strumenti musicali e giochi per bambini, e tanto altro.
Tutto fatto e rifatto a mano. E tutto alimenta l’immaginazione del visitatore in un continuo andirivieni tra presente e passato.
Sorprende anche vedere in “cose” umilissime un cenno decorativo, un’impronta personale che spesso si intreccia con uno o più rappezzi necessari al riuso.
Guatelli, oltre agli oggetti, ha lasciato migliaia di schede che raccontano quel tempo e quelle storie, ci ha tramandato parole altrimenti destinate all’oblio.
Ad Ozzano, cose e parole si incontrano e si mescolano a tutela di un mondo passato.
Vorrei ricordare infine due persone che hanno raccontato, come Guatelli, il valore della civiltà contadina: Luigi Malerba, che nel libro “Le parole dimenticate” dialoga da vicino con il Museo di Ozzano, e il regista Ermanno Olmi, che ci ha lasciato proprio in questi giorni.
Ringraziamo il Museo per l’accoglienza e la bravissima guida.
Lori Carpi
ultimo aggiornamento della pagina: 25 maggio 2018