L’immagine della locandina, Zefiro che accanto ad Aura soffia per favorire l’approdo della Venere di Botticelli, bene introduce il sonetto di Petrarca, che fu mirabilmente musicato nel 1585 da Luca Marenzio.
Zephiro torna, e ’l bel tempo rimena,
e i fiori et l’erbe, sua dolce famiglia,
et garrir Progne et pianger Philomena,
et primavera candida et vermiglia.
Ridono i prati, e ’l ciel si rasserena;
Giove s’allegra di mirar sua figlia;
l’aria et l’acqua et la terra è d’amor piena;
ogni animal d’amar si riconsiglia.
Ma per me, lasso, tornano i piú gravi
sospiri, che del cor profondo tragge
quella ch’al ciel se ne portò le chiavi;
et cantar augelletti, et fiorir piagge
e ’n belle donne honeste atti soavi
sono un deserto, et fere aspre et selvagge.
Il vento primaverile Zefiro ritorna, e riporta con sé il bel tempo, il fiorire della natura, che sempre lo accompagna, il garrire delle rondini e il pianto dell’usignolo, la primavera dai colori bianchi e rossi (i colori dei fiori).
I prati diventano rigogliosi, e il cielo si rasserena, i pianeti Giove e Venere si avvicinano, quasi che il dio fosse contento di stare accanto a sua figlia e guardarla. Gli elementi naturali sono pieni di un sentimento amoroso e ogni essere vivente torna ad amare.
Ma per me, sventurato, tornano i sospiri più angosciosi, che fa uscire dal mio cuore quella che ne possedeva le chiavi, e che ora che è morta le ha portate con sé in cielo; e il canto degli uccelli, il fiorire dei prati, le dolci movenze di donne belle e cortesi sono per me aridi come un deserto, bestie crudeli e selvagge.
Giovanni Campanini, di formazione scientifica ma spesso in veste di musicologo e storico, ci ha parlato il 13 marzo 2023 sia del rapporto personale tra Petrarca e la musica, sia della grande influenza che l’opera poetica di Petrarca ha esercitato sulla musica dei secoli successivi. La trattazione è stata arricchita da numerosi inserti musicali, con proiezione di testi, immagini e registrazioni.
Nella premessa il relatore ha sottolineato lo stretto rapporto che Petrarca ebbe con Parma: nel decennio 1341-1351 dimorò spesso nella nostra città e nella vicina località di Selvapiana, fu canonico e poi arcidiacono della cattedrale, e amava Parma tanto che espresse il desiderio di essere sepolto qui in Duomo se qui fosse morto. La tomba, si sa, è ad Arquà, dove morì, però se entriamo nel nostro Duomo dall’ingresso laterale verso il seminario, subito a destra, nella cappella di Sant’Agata, troviamo il cenotafio ideato e donato nel 1713 dal canonico e poeta Nicolò Cicognari. Poco lontano troviamo, per una curiosa coincidenza, le lastre tombali di Cipriano de Rore e Claudio Merulo, musicisti che operarono e morirono a Parma e che di Petrarca musicarono diversi componimenti poetici.
A Dio Ottimo Massimo.
A Francesco Petrarca, Arcidiacono Parmense, di genitori illustri di stirpe assai antica,
scrittore eccellente di morale cristiana, rinnovatore della lingua latina, principe della Toscana, per il poema dell’Africa compiuto in questa città, chiamato dai re, dal Senato e dal Popolo Romano, per ricevere in dono da così grande uomo la corona d’alloro.
Appassionato cultore da giovane dei sentimenti giovanili, da vecchio di quelli dei vecchi,
io, Conte Nicolò canonico Cicognari, alzato il vicino altare marmoreo e ivi sepolto il corpo insanguinato di Santa Ianuaria,
innalzai questo monumento aggiunto, ma inferiore al merito del sepolto Francesco che aveva disposto di essere portato in questa alta sede se in Parma egli morisse,
ahimè a noi strappato dalla morte in terra straniera.
Petrarca conosceva la teoria della musica, (Boccaccio ci dice che aveva una bella voce e amava cantare), ma lasciò pochi scritti che ci indichino l’opinione che aveva della musica, (a differenza di Dante che in tante occasioni ne trattò, e sempre in termini elogiativi), e quei pochi sembrano ammettere per essa soltanto una funzione spirituale. Nel testamento scriveva “lascio il mio buon liuto, affinché esso suoni non per la vanità del secolo fugace, ma a lode di Dio eterno” e nel De remediis utriusque fortunae la Ragione in dialogo con la Gioia esamina i vari effetti della musica sull’animo umano, elogiando però soltanto quell’armonia che ispira “una vita devota e santa”. Evidentemente per lui poeta la cosa più importante era la poesia, come conferma una lettera all’amico Philippe de Vitry, grande rinnovatore della teoria musicale, elogiato come “il più grande letterato della Francia”, senza alcuna cenno ai meriti nel campo della musica.
Eppure la poesia di Petrarca è molto musicale, come ben scrisse Foscolo: “La facoltà di serbare e variare a un tempo il ritmo è tutta sua; – la melodia ne’ suoi versi è perpetua, e pur non istanca l’orecchio mai”. Bisogna attendere il Cinquecento per assistere a una vera e propria esplosione del Petrarca nella musica polifonica vocale in forma di madrigale, però i testi che furono posti in musica, con poche eccezioni tra le quali spicca l’alta preghiera Vergine Bella, appartengono al genere profano, e non poteva essere diversamente, dato che i temi dominanti del Canzoniere sono l’amore per Laura e il conflitto interiore tra questo amore e l’anelito alla elevazione spirituale. Non poté dunque adempiersi la volontà del poeta (“lascio il mio buon liuto, affinché esso suoni non per la vanità del secolo fugace, ma a lode di Dio eterno”), ma di questa inadempienza la musica ha oltremodo beneficiato.
Le parole del conferenziere sono state, via via, accompagnate da musica e canti esplicativi.
• Or che il ciel e la terra (Petrarca Canzoniere 164, musicato da Claudio Monteverdi), nel quale un unico verso pensoso (“mille volte il dì moro e mille nasco”), di per sé pensoso e pacato, si trasforma in un interminabile rincorrersi delle voci in cadenza di danza leggera;
• Zefiro torna e il bel tempo rimena (Petrarca Canzoniere 310, musicato da Luca Marenzio): nel video, registrato nel 2017 a Selvapiana, il canto del coro è preceduto da una bellissima spiegazione della prof. Angela Marchetti, che è stata applaudita, pur in assenza, dal pubblico presente;
• O ciechi il tanto affaticar che giova (Petrarca dal Trionfo della morte, Claudio Monteverdi), esempio non di poesia amorosa bensì di meditazione sulla precarietà della vita umana;
• Il bianco e dolce cigno (Mons. Giovanni Guidiccioni lucchese, musicato da Jacob Arcadelt): in questo, che è stato definito “il principe dei madrigali”, è evidente l’influenza di Petrarca (“di mille morti il dì sarei contento”, come il “mille volte il dì moro e mille nasco” del prima visto “or che il ciel e la terra”;
• Vaghi pensier (Petrarca Canzoniere 70, musicato da Pierluigi Giovanni da Palestrina), video registrato nel 2017 a Selvapiana, con lo splendido finale “così nel mio parlar vogl’esser aspro” in cui Petrarca cita il Dante delle Rime Petrose.
Il pomeriggio si è concluso con un finale inaspettato: dal fondo della platea si è alzata una voce che ha intonato un madrigale e, quando si è avvicinata al conferenziere, anche questi si è messo a cantare.
Un momento prezioso.
Giovanni Campanini
ultimo aggiornamento della pagina: 4 aprile 2023